Un po’ tutti noi durante la nostra vita abbiamo sperimentato un senso di autoaccusa, un attacco contro sé stessi che ci ha portato ad aderire a richieste altrui o a riparare” un danno” attraverso comportamenti inducenti uno sforzo (una sorta di pagamento del dovuto). Evidenziamo innanzitutto che il senso di colpa non è qualcosa di patologico, anzi, spesso chi non prova mai questo malessere, anche di fronte ad azioni negative compiute, presenta delle problematiche della personalità ben più importanti!! Pensiamo a tutte quelle persone che fanno del male agli altri pensando che in fondo lo meritavano, o a tutti quelli che vedono sempre gli altri colpevoli di qualcosa e che non sono mai in contatto con le proprie emozioni . Il senso di colpa diciamo così è “l’erede” dell’attaccamento che abbiamo provato verso in nostri genitori che introduce dentro di noi una sorta di regolamento da rispettare. E’ come se dentro ci fosse un senso del giusto e dello sbagliato la cui violazione determina il senso di colpa. In alcune personalità, però, questo senso di colpa diventa eccessivo fino ad indurre il soggetto a compiere azioni quasi autolesive (scegliere un compagno che le svaluta, lavorare più del dovuto, lasciarsi sfruttare dagli altri ecc). Il primo elemento importante di queste personalità è il senso di perdita che gli procura costantemente angoscia e tristezza vitale. E’ una perenne malinconia, che le porta a ricercare continuamente oggetti a cui legarsi, malinconia che avrebbe alla base un’assenza di relazioni affettive sicure sperimentate nel corso della vita che a sua volta produrrebbe la tendenza a mantenere rapporti di dipendenza dagli altri. E’ come un po’ tentare di riempire un vuoto attraverso altre relazioni. Alcune di queste persone come reazione tendono invece ad allontanarsi dai legami per paura di sperimentare di nuovo quel senso di perdita, ma anche se sembrano lontane, distanti e fredde hanno un profondissimo bisogno dell’altro. Questo senso di perdita porta spesso queste personalità ad elaborare immagini interne idealizzate che determinano un costante senso di sconfitta e fallimento. Una sorta di ideale da raggiungere che le fa sentire sempre incomplete perché non potranno mai raggiungerlo. Tali persone organizzano spesso delle relazioni insicure o ambivalenti che determineranno una vera e propria “fame di oggetti” a cui legarsi. Tali oggetti costituiscono spesso una corretta rappresentazione degli ideali interni, residui dell’attaccamento, che il soggetto vorrebbe raggiungere ma che, proprio in quanto ideali sono irraggiungibili. “Tali persone sono spesso dei fedeli impiegati che legano la propria vita a quella di un’altra persona, di un ideale oppure di un istituzione e poi ne restano intrappolati sviluppando un senso di depressione ed inadeguatezza” (Lago, 2002). Il problema è che questo ideale interno da raggiungere (Lago, 2006) ovvero l’erede del sistema attaccamento, come immagine idealizzata tirannica e sadica che il soggetto dovrebbe raggiungere, determina una serie di comportamenti autolesivi come lavorare al di sopra delle proprie possibilità, rispettare un certo ordine o fare le cose secondo una certa modalità, attaccarsi ad un altro giudicante a cui portare un risultato a tutti i costi ecc. Tale meccanismo determina due “costellazioni” (Tellenbach, 1975) in cui può trovarsi la personalità sopra menzionata . La prima è “l’inclusione”, in cui il soggetto rimane bloccato in una situazione che determina il suo equilibrio personale e da cui non riesce a svincolarsi come per esempio la relazione con un partner o la dipendenza da un ideale astratto ecc. L’altra costellazione è la “rimanenza” ossia il rimanere indietro rispetto a se stesso per essersi sobbarcato di compiti impossibili da raggiungere e quindi fonte di angosce e senso di fallimento. Tali persone riescono a mantenere il proprio equilibrio personale mantenendo il legame con gli oggetti ad ogni costo o legandosi ad un ideale astratto o a una personalità sadica che rappresenta alla perfezione il sadismo ed il criticismo del loro ideale interno (pensiamo a tutte le donne che scelgono un compagno che le svaluta). In questo “terreno fangoso” e di fronte ad una situazione che può mettere in crisi tale organizzazione patologica ma funzionale possono manifestarsi dei pensieri molto negativi per il soggetto che superano il senso di colpa sano precedentemente descritto. La personalità precedentemente menzionata riesce a funzionare bene fin quando mantiene un comportamento ligio, laborioso, adeguato coscienzioso ecc. Di solito, l’atteggiamento normativo e di soggezione all’ordine e all’autorità di queste persone (molto stimato in famiglia, nelle aziende e nei posti di lavoro, perché coscienzioso) riesce a controbilanciare il continuo senso di inadeguatezza e imperfezione indotto dal Super-io, per cui abbiamo una persona equilibrata nel continuo sforzo di adeguarsi all’ordine interno superegoico” (Lago, 2006). Questo equilibrio viene mantenuto fin quando il soggetto esperisce una perdita, un fallimento, la fine di un’attività lavorativa o di una relazione. In tale situazione non può più mantenere la dipendenza da un oggetto fisico e sperimenta tutta l’angoscia dovuta alla fine del legame. Oltre a questo la persona non riesce più a controbilanciare il clima di ricatto cui è sottoposto e in questo clima di angoscia dato dal costante tentativo di punirsi ed autoflaggelarsi può svilupparsi il senso di colpa patologica perché non ha alcun fondamento nella realtà. I sensi di colpa inducono a credere di essere causa di un male o di aver mancato a qualcosa o qualcuno. Nelle situazioni più gravi essi non nascono da un fatto o da un’azione reale (Callieri, 1982): come afferma Callieri “prima nasce il senso di colpa e poi il soggetto cerca un tema o un avvenimento esterno per cui può sperimentare il sentimento di colpa”. Il “senso di colpa” a differenza dei pensieri delle personalità più gravi procurano una sofferenza affettiva. Non è tanto il tema della colpa ad essere importante ma la struttura del vissuto di colpevolezza. I sensi di colpa possono partire dalla sensazione di aver commesso su se stessi qualcosa di irreparabile, di aver trascurato la propria salute. Il senso di colpa esistenziale è legato non all’aver fatto qualcosa ma all’essere o non essere qualcosa. Ricordiamo che non è centrale il tema della colpa bensì la struttura che genera il senso di colpa . Di fronte ad un evento di perdita si ha l’emergere di una grande sofferenza ma soprattutto la messa in atto di un’espiazione sadica e violenta. Questa è la migliore soluzione sperimentata dal soggetto da cui potrà svincolarsi solo portando alla luce il suo modo di funzionare ed il senso delle sue azioni per provare gradualmente a saggiarne di nuove. Spesso gettando luce su tali comportamenti si ha una sorta di illuminazione che porta il soggetto a cercare un nuovo modo di essere.