Nella storia di persone affette da problematiche della personalità troviamo spesso esperienze traumatiche infantili. Tali esperienze, spesso, mediano un attaccemento non sicuro o disorganizzato verso il caregiver. Secondo alcune ricerche condotte da Fonagy e collaboartori appare fondamentale, al fine di una mancato sviluppo della capacità di elaborare l’esperienza, l’assenza di una sola figura di attaccamento (di un solo genitore) in grado di rendere possibile lo sviluppo della funzione riflessiva. La funzione riflessiva corrisponde, secondo Fonagy, alla capacità di leggere la mente altrui e di derivare lo stato del Sè dalla percezione dello stato mentale dell’altro da Sè. Pensare al funzionamento della mente dell’altro e alla presenza dentro di lui di pensieri, emozioni, bisogni ecc, corrisponde alla capacità di riflettere sul Sè e sull’altro, capacità che può costituire un fattore protettivo in caso di esperienze traumatiche. Secondo Fonagy, infatti, i bambini che hanno subito esperienze negative potrebbero superare tali eserienze se in grado di contare su una “relazione sicura” e su un genitore con buona funzione riflessiva, funzione che permetterebbe l’elaborazione delle espeirienze traumatiche. Secondo Fonagy la funzione riflessiva dei genitori è correlata allo sviluppo della funzione riflessiva nei figli.
L’esigua capacità riflessiva in alcuni soggetti potrebbe determinare, invece, un eccesso di emotività la quale non verrebbe trasformata in immagini stabili e coerenti di Sè e dell’altro. Anche l’esperienza traumatica permarrebbe nella memoria implicita senza la possibilità di elaborare un’ immagine dell’altro coerente con la realtà.
Ne conseguirebbe la formazione di immagini mentali scisse e non integrate con il livello emotivo-affettivo sottostante: l’altro da Sè sarà considerato in alcuni momenti “completamente buono”, in altri “completamente cattivo” e ciò potrebbe essere alla base di ripetuti passaggi dall’idealizzazione alla svalutazione.
L’assenza di mentalizzazione, inoltre, o l’incapacità di pensare al Sè e all’altro, potrebbe genereare in alcuni soggetto frequenti passaggi all’atto : l’emozione, infatti, non potrebbe essere sentita e verbalizzata ma solo vissuta mediante il corpo o agita; sarebbe sufficiente un’esperienza negativa o un abbandono immaginario per richiamare esperienze registrate nella memoria implicita e far scattare il corto-circuito emozionale. Ne conseguirebbe una reazione abnorme di fronte all’evento o un immediato passaggio all’atto.
In soggetti che hanno subito traumi, spesso anche l’esperienza del, sè è legalta al qui ed ora. Tali soggetti, infatti, non raggiungerebbero il Sé autobiografico completo ma spesso una coscienza transitoria del Sé. A volte in queste persone troviamo la tendenza a “sentire” per “esserci” che spiegherebbe la messa in atto di comportamenti a rischio e le tendenze autolesive.
La possibilità di mentalizzare un’esperienza traumatica costituisce, quindi, un importante fattore protettivo per lo sviluppo di disturbi gravi della personalità. Ne consegue la possibilità di utilizzare la relazione di attaccamento e la funzione riflessiva sia come strumento di prevenzione nei soggetti che hanno subito traumi o abusi, sia come strumento terapeutico.